EP 9 - IN BIANCO E NERO, la canzone

Ogni mese un articolo per trattare da vicino proprio quelle questioni che riguardano i ragazzi ma che sono così difficili da dire, quelle questioni che sembrano impossibili da spiegare. 

La rubrica ALL YOU NEED IS FREUD nasce dal desiderio di parlare di psicologia a giovani fruitori, attraverso l'analisi di serie tv, film e canzoni contemporanee.


Carmen Consoli nel 2000 porta a Sanremo la canzone "In bianco e nero" in cui ripercorre il rapporto conflittuale con la madre. Nella psicoanalisi esiste un concetto chiamato "ravage" tradotto in italiano con il termine devastazione che descrive i conflitti e la rivalità tra madre e figlia, più precisamente, il doloroso processo di distacco della bambina dalla madre.

Il primo amore

Inizialmente per i figli, la madre è il primo oggetto d'amore, il luogo dell'Altro per eccellenza, della totale onnipotenza: lei può tutto, soddisfare tutto, in quanto può dare o no ciò che serve al bambino per sopravvivere, il cibo e le cure. Solo successivamente il figlio si rende conto che la madre non è completa e, solo allora, si rivolge al padre che è il detentore di quello che la madre non ha e che vuole, il fallo. Per la figlia femmina risulta più complicato questo processo di trasferimento di interesse, sia perché deve cambiare l'oggetto d'amore sia perché si rende conto che le manca qualcosa come alla madre. Questo spostamento può lasciare nella bambina un odio irrisolto nei confronti della madre perché castrata, non fallica come invece la figlia inizialmente credeva. La conflittualità può portare le due a non incontrarsi, a non capirsi, continuando a domandarsi reciprocamente cose impossibili da soddisfare: la madre chiede alla figlia di completarla, per esempio, seguendo le sue regole educative senza errori, oppure chiedendo alla figlia di “fare sempre la brava” o ancora di “essere perfetta”e la figlia domanda sempre oggetti alla madre che però non la soddisfano perché non sono mai quello giusto in cui la donna manca sempre. Rischiano di non incontrarsi perché giocano la partita dell'avere, del fallo, nessuna delle due cede, invece di giocare la partita della mancanza che permetterebbe loro di accedere all'amore. Carmen Consoli racconta proprio questa conflittualità tra le due donne:

Le avrei voluto parlare di me
Chiederle almeno il perché
Dei lunghi ed ostili silenzi
E di quella arbitraria indolenza
Puntualmente mi dimostravo inflessibile
Inaccessibile e fiera
intimamente agguerrita temendo l'innata rivalità.

Quanto è difficile essere una figlia. Quanto è difficile essere una madre.

In Dedalus ascolto spesso le pazienti che descrivono le madri come esseri meravigliose e nello stesso tempo crudeli. Faticano a spiegarsi come sia possibile che le madri, in alcuni momenti, siano dolci e disponibili e in altri spietate, mortificanti e cattive. Quando in terapia ascolto donne che riescono a confessare di non sopportare, in alcuni momenti, i propri figli, lì tutto ha inizio: l'io cade, le apparenze finalmente lasciano il posto all'inconscio e si dichiara l'inconfessabile. La madre si scolla di dosso la pesantezza di dover interpretare, per senso di colpa, "la buona madre", sempre e comunque, tornando ad avere un nome proprio con le sue qualità e i suoi difetti. Quando in analisi cadono le maschere ne giova il soggetto madre in primis e anche i figli non essendo più ostaggio capriccioso degli umori incomprensibili dell'Altro. Ciò che fa soffrire è non conoscere il proprio lato oscuro che viene agito senza averne consapevolezza. Si può parlare dell'odio senza distruggere tutto.