Flesh and the Devil

28 giugno 2016

Anno: 1926

Regia: Clarence Brown

Cast: John Gilbert (Leo von Harden), Greta Garbo (Felicitas), Lars Hanson (Ulrich von Eltz)

 

Recensito il 29 giugno 2016 da Sara Tomasin


La pellicola, introdotta dal proprietario Ned Price (Warner Bros) è una copia in 35 mm che il direttore di Cinema Ritrovato Farinelli definisce “la” copia del film, soprattutto a seguito delle rocambolesche circostanze del suo ritrovamento, pervenuto a noi in frammentari fotogrammi di diversi formati, e della sua attuale forma in fine grain. 

Questa volta, quindi, al posto di cominciare dal film come storia, si partirà dal film come oggetto materico

Cosa motiva questo restauro, nell’epoca nella quale, avendo a disposizione un potenzialmente infinito - e quindi difficilmente consultabile - archivio di contenuti possibili, è lecito domandarsi se davvero tutto debba essere conservato? Flesh and the Devil non è un capolavoro cinematografico, non è forse il miglior film di Clarence Brown, onesto costruttore del cinema muto, e non è nemmeno la miglior performance di Garbo.

Cosa rende, quindi, essenziale questa pellicola? 

Flesh and the devil è un’opera incredibilmente cinematografica. È cioè un film nel quale si rende evidente come il cinema sia una forma d'arte frutto di varie maestranze, di inquadrature, di dissolvenze, di luci, costumi e volti che collaborano insieme a costruirne il senso: un'arte della molteplicità, della modernità, cui si aggiunge - per chi era presente in sala - l'incisivo contrappunto sonoro offerto dal piano di Gabriel Thibaudeau. 

Il motore che muove la vicenda filmica è l’incontro epifanico di Leo von Harden (John Gilbert) con Felicitas (Greta Garbo). Ciò innesca un tormentato intreccio amoroso che, da quel momento, lega tragicamente il conte a lei, in un continuo gioco di andate e ritorni che finisce per coinvolgere anche il migliore amico di Leo, Ulrich (Lars Hanson). Il triangolo si dipana così fra segreti, duelli, partenze e matrimoni, sui quali domina insistentemente la seducente e volubile sagoma di Garbo. Ecco che, se Cukor e Lubitsch l’hanno consegnata alla storia del cinema al meglio delle sue interpretazioni, è invece proprio Brown a costruire con pazienza artigiana il mito tangibile, materico, ancora oggi perfetto della Divina, come un meccanismo ad orologeria fatto da combinazioni di sguardi insolenti, riflessi contro i vetri bagnati dalla pioggia, colli di pelliccia e polsi flessi.

Oggi, ovviamente, la sala sorride delle ingenuità espressive del cinema dell'epoca quando, per dimostrare il desiderio pressante provato da Leo nel tornare dalla donna amata, il nome di lei viene sovrimpresso al galoppo del cavallo, sopra le ruote del treno e su tutti i movimenti dei mezzi che lo riportano a casa. Ma, questa, è la stessa sala che ancora arrossisce e vibra quando una quasi blasfema Garbo, inginocchiata per la comunione, gira fra le mani la coppa eucaristica per arrivare a posare le labbra nel punto preciso in cui Leo, poco prima, aveva bevuto. Questa, è la stessa sala che prova un piacere sottile a vederla ritoccarsi il rossetto con una punta di compiacimento durante la funzione, mentre il pastore dedica il sermone al diavolo ed alludendo a lei.

Photo credit: Cinema Ritrovato