Luc e Jean-Pierre Dardenne: ritrovare il cinema

27 giugno 2016

Luc e Jean-Pierre Dardenne dialogano con Nicola Mazzanti (Cinémathèque Royale de Belgique).

Registi e sceneggiatori belgi. Vincitori di due Palme d’oro per Miglior Film al Festival di Cannes (Rosetta, 1999; L’Enfant – Una storia d’amore, 2005), nonché del Grand Prix Speciale della Giuria per Il ragazzo con la bicicletta (2011). Domenica 26 giugno hanno presentato la prima del restauro del loro film La promesse, restaurato a vent’anni dall’uscita dalla Cinémathèque Royale de Belgique. Hanno inoltre ricevuto il prestigioso Premio FIAF.

Cosa succede quando si lavora sul restauro dei propri film?

È molto diverso e strano, come se il tuo film non fosse più il tuo film. Quella materia viene da lontano e non sai più cosa abbia guidato certe tue scelte registiche. I film trasmettono le vibrazioni della vita, è come se si volesse trasferire un sentimento. Nel restauro abbiamo cercato di non tradire le imperfezioni che facevano parte dell’originale.

Quando La promessa è stato presentato a Cannes vent’anni fa era diverso da tutti gli altri film. Da dove viene il vostro cinema?

Facciamo film che sentiamo nostri. Molto spesso nascono da una difficoltà, da un fallimento. Dopo il fallimento di Je pense à vous (1992), dove la tecnica aveva preso il sopravvento, abbiamo deciso di fare un film che sentivamo, togliendo tanta di quella tecnica, girando con cinepresa a spalla e lavorando con attori per lo più non professionisti. Oggi, la tecnica permette tutto: è perfetta, ma non troppo.

Da dove viene il vostro desiderio di fare cinema?

La nostra storia di registi è una storia di incontri. Con i nostri padri spirituali, che ci hanno indirizzato verso questa professione, dandoci fiducia. Per noi il cinema è materia, come la pittura e la scultura, ed è un’eredità che deve passare da uno all’altro. Da bambini a casa non avevamo la tv, i film li vedevamo dai vicini o in cineteca. Nel nostro liceo c’era un cineclub: vedevamo film e li discutevamo con i nostri professori. Lì abbiamo visto alcune delle cose che hanno maggiormente influenzato il nostro lavoro: Luc Besson, Godard, Bertolucci, Ladri di biciclette. La cineteca è stata decisiva, ci andavamo quasi tutti i giorni: lì abbiamo scoperto il cinema giapponese, il cinema muto e abbiamo visto Germania anno zero di Rossellini. Ancora oggi ci piace andare al cinema insieme e parlare dei film dopo essere usciti dalla sala. Abbiamo imparato che il cinema è materia costituita da struttura, ritmo del film, il girare, il montaggio.

In Belgio si stanno riaprendo molte sale dedicate al cinema d’autore. Cosa ne pensate?

È una bella cosa. Oggi il passaggio al digitale sta facendo scomparire molte sale, sempre più spesso la gente guarda film a casa propria. Per questo bisogna resistere e fare un lavoro di educazione cinematografica, soprattutto nelle scuole. Questo sta accadendo in molte scuole in Belgio. È molto importante che le sale possano accogliere persone di cultura diversa, che riescano a mescolare le persone, perché il cinema non deve creare frontiere, ma unire. E questo passa anche e soprattutto attraverso l’educazione cinematografica fin da giovani: quando un bambino scopre il cinema a 6-7 anni, rimane in lui per sempre il desiderio di vedere un film in una grande sala buia.

A cura di Cristina Catanese e Chiara Pagliochini

 

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