Ep. 30 - Mare fuori

Ogni mese un articolo per trattare da vicino proprio quelle questioni che riguardano i ragazzi, ma che sono così difficili da esprimere a parole, quelle questioni che sembrano impossibili da spiegare.

La rubrica ALL YOU NEED IS FREUD nasce dal desiderio di parlare di psicologia ai giovani fruitori, attraverso l'analisi di serie tv, film e canzoni contemporanee.

Fuori c'è il mare e nessun altro

Il racconto è molto semplice: è la storia di un carcere minorile e di tutte le sue figure: i detenuti, la direttrice, la polizia, l’educatore, il medico, gli insegnanti.

È la storia di un’Istituzione e del modo che si inventa per sopravvivere, per stare in piedi, nonostante tutte le difficoltà.

All’esterno delle mura del carcere ad aspettare i personaggi che brulicano l’Istituzione non c’è nessuno, nessuno davvero di valore, nessuno che può cambiare le loro vite. Nessun essere umano è in grado seriamente di occuparsi di loro, di prendersi cura delle loro esistenze. Fuori non c’è nessuno tranne Il mare. Il mare come simbolo di libertà: luogo dove vivere secondo le proprie regole e soprattutto secondo i propri desideri.

Adulti e ragazzi senza sbarre

È il racconto di un carcere ma potrebbe tranquillamente essere il racconto di una scuola, di una comunità in cui le regole non bastano a far funzionare le cose. Gli adulti inizialmente inaspriscono la propria posizione normativa per cercare di fare fronte comune e contenere la violenza, la pulsione e la vitalità dei ragazzi. Si istituiscono così però solo due fazioni separate, due bande: gli operatori e i detenuti che si massacrano fino al momento culmine della tragedia che cambia radicalmente le dinamiche.

Quando ci chiamano nelle scuole per occuparci di bullismo quello che incontriamo è proprio questo: adulti e ragazzi che si sono ugualmente organizzati in gruppi, con le loro regole, le loro dinamiche e che si scontrano in una escalation di forza fino al momento in cui un evento esageratamente fuori controllo squarcia la scena.

In Mare Fuori si vede benissimo come la tragedia cambi inesorabilmente le dinamiche dell’Istituzione. Laddove c’erano prima gli adulti e i ragazzi che si contendevano il comando ora le fazioni si sciolgono e si mescolano. Ognuno a fatica abbandona le proprie maschere e prova a mettersi in gioco, a comprendere a mostrare le proprie difficoltà. La fragilità dissolve sempre la violenza, ne possiamo avere tutti esperienza nelle relazioni interpersonali: basta che uno dei due contendenti deponga le armi, si metta davvero in ascolto che la violenza finisce. Lo scontro è sempre generato dalle maschere, dalle divise, dalle fazioni: si lotta contro la maglia dello sconosciuto, non contro la sua persona. Lo si vede bene negli stadi, lo si evince in politica: neri contro rossi, interisti contro juventini, adulti contro ragazzi.

Nei fenomeni di baby gang e di bullismo di cui ci occupiamo in Dedalus tutto questo si vede chiaramente, non è l’inasprimento delle regole degli adulti che può eliminare questi fenomeni. Accade proprio il contrario: laddove gli adulti si fanno forti di punizioni e sanzioni i ragazzi rafforzano i propri gruppi antagonisti della legge dei grandi. I ruoli che hanno all’interno delle gang diventano maschere dietro le quali non si guardano più: il capo mafia in Mare Fuori o il bullo in una qualunque scuola viene sostenuto dal branco senza alcuna interrogazione, senza davvero conoscerlo. Allo stesso modo chi indossa la divisa del capo non si domanda più cosa vuole, cosa desidera davvero e si trova incastrato nel proprio ruolo.

Mare Fuori mostra questo: che l’Istituzione può sopravvivere a se stessa solo quando cala la maschera, quando squarcia la sua facciata e parte dalla propria incapacità ad esistere, dalla propria fatica, dai propri errori per creare un luogo che non sia solo un’utopia… come lo è il mare.